Uno dei miei insegnanti mi ha trasmesso la passione per la scoperta dell’etimologia delle parole e così voglio iniziare proprio dall’origine della parola EDUCAZIONE.
“Educazione” ha origini latine, deriva da “ex” (=fuori) e “duco” (=condurre), quindi il significato completo rimanda ad un’azione di scoperta di un nuovo mondo, un mondo fatto di sensazioni, emozioni, pensieri e di una loro espressione da parte del bambino.
In questo nuovo mondo il bambino ha bisogno di sapere che c’è una guida che nella necessità possa prenderlo per mano, ma ha anche bisogna che quella stessa guida, a volte sia in grado di lasciargli la mano, perché così abbia la possibilità di sbagliare.
Il destino di questa “guida” è condiviso da tutte quelle figure che ruotano intorno al bambino nell’ambito sportivo (e non), quindi: genitori, maestri scolastici, insegnanti e collaboratori sportivi, dirigenti, custodi, ecc… La differenza sta nel ruolo diversificato di ognuno di loro e senza il rispetto reciproco per il lavoro e per il ruolo di tutti ci saranno molte problematiche che ricadranno proprio sul bambino.
Arrivo ora a prendere in considerazione la domanda racchiusa nel titolo: è davvero possibile agire un’azione educativa attraverso lo sport di base? Con sport di base intendo il coinvolgimento di bambini e ragazzi che non praticano sport con un impegno agonistico.
Sicuramente questo compito è arduo, in quanto il nostro contesto culturale e sociale è orientato, più che a tirar fuori, a mettere dentro. Nella maggior parte dei contesti educativi ho notato che gli obiettivi principali sono quelli di “mettere dentro” la testa di bambini e ragazzi nuove conoscenze o competenze, e questi diventano così dei contenitori, dei ricettori passivi dell’azione degli “insegnanti”.
La stessa situazione viene riproposta a casa con la televisione, grazie anche alla quale la percentuale delle persone interessate alla lettura è ormai al di sotto della metà della popolazione italiana. In dosi eccessive, la televisione è un killer dell’immaginazione, uno strumento che ci rende degli ascoltatori e osservatori passivi, in quanto fornisce una realtà già confezionata, togliendo così la possibilità di costruirsi un’immagine di quel protagonista o di immaginarsi ogni minimo particolare di quella battaglia.
“Li interrogo e mi rispondono. E parlano e cantano per me. Alcuni mi portano il riso sulle labbra o la consolazione nel cuore. Altri mi insegnano a conoscere me stesso e mi ricordano che i giorni corrono veloci e che la vita fugge via. Chiedono solo un unico premio: avere libero accesso in casa mia, vivere con me quanto tanto pochi sono i veri amici.” (Petrarca)
In questa situazione così delicata lo sport può rappresentare un volano fondamentale nel percorso di crescita di bambini e ragazzi. Ho sottolineato “può”, perché come ha detto qualcuno, non sempre lo sport fa bene, dipende! Infatti l’insegnante sportivo che ha a cuore l’educazione dei propri allievi dovrà dare loro la possibilità di provare e di sbagliare, in modo tale che, con la guida dell’insegnante, il bambino possa trovare quale sia la soluzione più efficace per lui in quel contesto. Faccio un esempio: il bambino che sta imparando a tirare a canestro non ha bisogno di un insegnante che gli spieghi fin da subito nei minimi dettagli e con assoluta precisione come piegare le gambe, come tenere le mani sul pallone, ecc… Non ha bisogno di un insegnante che lo corregga continuamente mentre sta provando ad eseguire il gesto!
ANZI! Il comportamento di quell’insegnante che ho appena descritto crea due problemi: uno di ordine fisiologico e l’altro prettamente psicologico.
Le correzioni dall’esterno di un’azione motoria inibiscono il meccanismo di apprendimento basato sul feedback, ovvero un’informazione che dai muscoli torna al cervello dandogli tantissimi riferimenti su come quel minuscoli si è mosso. Quindi quell’insegnante gli sta togliendo la possibilità di sperimentare un vero apprendimento, intervenendo al posto del meccanismo di feedback dando una soluzione dall’esterno, “mettendo dentro”!
Il secondo problema è che il bambino si abituerà ad ascoltare ed eseguire passivamente quello che gli viene detto. Non sarà quindi abituato in futuro a trovare soluzioni a nuovi problemi, perchè qualcuno l’ha sempre fatto al posto suo e gliele ha fornite già confezionate. Non è cosa da poco! Il nostro cervello è “plastico”, ovvero si modifica con il tempo attraverso le esperienza e se il bambino avrà la possibilità fin da piccolo di arrivare a trovare la SUA soluzione fin da piccolo, rinforzerà quei circuiti neurali, in caso contrario si indeboliranno sempre di più.
Questo sarà utile sia in ambito sportivo, perchè il bambino che vuole diventare un atleta professionista bisogna che strutturi questa abilità, ma diventa fondamentale anche per quel bambino che ora, a 8 anni, sta giocando a basket, ma da grande diventerà un ingegnere, un commerciante, un medico, un prete o qualunque cosa vorrà essere.
Questi fondamenti sono alla base della proposta didattica delle attività che organizziamo come 360 Sport, sono impegnato in prima persona in riunioni con genitori e insegnanti e credo fortemente che si possa educare attraverso lo sport!
E tu cosa ne pensi? Se hai figli come ti relazioni con loro sulla base di queste idee? Sei un insegnante sportivo? Racconta la tua esperienza nei commenti qui sotto.