Se non metti tu i tuoi confini, lo farà qualcun altro per te

C’è un’abilità fondamentale che non ci insegnano a scuola, ma che può cambiare radicalmente la qualità della nostra vita: saper dire no. Sembra semplice, eppure è una delle cose più difficili da fare. Perché? Perché dire no significa affrontare il rischio di deludere qualcuno, di sembrare egoisti, di essere esclusi.

Ma ecco il paradosso: più evitiamo di dire no, più ci ritroviamo a vivere vite che non ci appartengono davvero.

Dire no è un atto di coraggio. Saper tracciare un confine è una dichiarazione di esistenza. Quando diciamo no, stiamo affermando chi siamo, cosa vogliamo e cosa non siamo disposti a tollerare. Ma dire no non è solo una questione di volontà. È anche una questione di resistenza. Perché il vero problema non è solo trovare la forza di pronunciare quella parola, ma sopportarne la coerenza.

Spesso immaginiamo il no come una porta che si chiude, un atto di libertà immediata, un gesto che ci svincola da qualcosa di oppressivo. Ma il no non è una liberazione istantanea, è un seme. E i semi non germogliano subito.

Dopo aver detto no, arriva il silenzio. Il vuoto lasciato da ciò a cui ci siamo sottratti. A volte arrivano anche il senso di colpa, il dubbio, la paura di aver sbagliato. Ci si sente egoisti, ingrati, soli. Il mondo sembra un po’ più freddo, un po’ più distante. È lì che molti tornano indietro, rimangiano il proprio confine, riprendono a dire sì, solo per riempire quel silenzio. Ma è proprio lì che si costruisce la vera libertà.

La libertà non è un momento, è un processo. È la capacità di sopportare il peso del nostro no, senza cercare di alleggerirlo con giustificazioni, scuse o ritorni improvvisi. La libertà arriva dopo.

I confini non sono muri, sono recinti vivi

Immagina una casa. Una casa solida, accogliente, con un bel giardino. I confini di questa casa non sono muri di cemento armato né cancelli di ferro arrugginito. Sono recinti vivi, fatti di siepi ben curate, che proteggono lo spazio senza soffocarlo.

Ora pensa a chi non ha confini. La sua casa è senza recinti, senza delimitazioni. Chiunque può entrare, prendere ciò che vuole, lasciare caos e disordine dietro di sé. La persona che abita questa casa non sa più cosa le appartiene davvero, perché ogni cosa è a disposizione degli altri.

All’opposto, chi ha confini troppo rigidi costruisce non una casa, ma una fortezza. Mura spesse, finestre sbarrate, porte chiuse a doppia mandata. Nessuno entra, nessuno esce. È sicuro, certo, ma è anche solo. Il vento non può passare, la luce non filtra, la vita rimane fuori.

I confini sani sono un equilibrio. Devono essere abbastanza forti da proteggere, ma abbastanza aperti da permettere alla vita di fluire dentro e fuori.

I confini si scrivono nel corpo

Ciò che non riusciamo a esprimere nei confini della nostra vita, lo inscriviamo nel corpo.

Chi ha confini deboli è spesso flaccido, svuotato, con una postura che cede. Le spalle ricurve in avanti, il petto chiuso, lo sguardo sfuggente. È un corpo che si è abituato a farsi piccolo, a non occupare spazio, a cedere sempre. La muscolatura si indebolisce, il respiro si fa corto, il corpo si adatta a un’esistenza di accondiscendenza.

Chi ha confini troppo rigidi, invece, è teso, contratto, chiuso. Il collo è rigido, la mascella serrata, le braccia incrociate come una barriera perenne. È un corpo che si difende, sempre pronto al contrattacco, sempre in allerta. Col tempo, questa tensione diventa cronica. I muscoli si irrigidiscono, il respiro si blocca, la vita diventa una guerra contro il mondo.

Il corpo è la nostra prima casa. Se non impariamo a costruire confini sani nella nostra vita, il corpo finirà per somatizzare quel disordine.

Il peso del no: quando il mondo non accetta il tuo confine

Dare un confine non è difficile solo per noi. È difficile anche per chi lo riceve. Se hai sempre detto sì, chi ti circonda si aspetterà che tu continui a farlo. Il primo no è spesso accolto con sorpresa, il secondo con irritazione, il terzo con rabbia.

Ti sei mai accorto di come alcune persone reagiscono male quando inizi a mettere limiti? Forse ti accusano di essere cambiato, di essere diventato egoista, freddo. Alcuni proveranno a farti sentire in colpa, a farti dubitare di te stesso. Altri insisteranno, proveranno a scardinare il tuo confine come un ariete davanti a un portone chiuso.

Questo succede perché i confini non proteggono solo noi: ridefiniscono anche le dinamiche nelle nostre relazioni. Quando diciamo no, costringiamo gli altri a ridefinire il loro modo di rapportarsi a noi. E non tutti sono pronti ad accettarlo.

Ma il problema non è il tuo no. Il problema è che il loro sì era basato sulla tua incapacità di rifiutare.

Dire no è un atto d’amore

Non solo verso noi stessi, ma anche verso gli altri.

Un confine chiaro aiuta chi ci sta intorno a capire cosa aspettarsi da noi, cosa possiamo offrire e cosa no. Evita malintesi, frustrazioni, rancori. E soprattutto, insegna agli altri a rispettare i propri limiti.

Molti credono che dire no significhi chiudere una porta. Ma spesso significa solo indicare un’altra. Significa dire: “Questo non posso farlo, ma posso offrirti altro”. “Questo non è giusto per me, ma possiamo trovare un compromesso”. “Questo mi ferisce, quindi dobbiamo cambiare il modo in cui ci relazioniamo”.

Non esiste una relazione sana senza confini sani.

Se non metti tu i tuoi confini, lo farà qualcun altro per te

In natura, gli animali segnano il proprio territorio. I lupi urinano sugli alberi per delimitare la loro area, i gatti strofinano il muso sulle cose per lasciare il loro odore. Noi esseri umani non abbiamo metodi così evidenti, ma il principio è lo stesso: se non dichiari i tuoi limiti, gli altri decideranno per te dove puoi arrivare.

E allora la domanda non è solo quante volte hai detto sì quando volevi dire no. Ma quante volte hai avuto il coraggio di restare nel tuo no, di sopportarne il peso, di aspettare che diventasse libertà.

Riferimenti bibliografici

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Grant, A. (2013). Give and Take: Why Helping Others Drives Our Success. Viking.

Goleman, D. (1995). Emotional Intelligence: Why It Can Matter More Than IQ. Bantam Books.

Linehan, M. (1993). Cognitive-Behavioral Treatment of Borderline Personality Disorder. Guilford Press.

Taleb, N. N. (2012). Antifragile: Things That Gain from Disorder. Random House.

Vygotsky, L. S. (1978). Mind in Society: The Development of Higher Psychological Processes. Harvard University Press.

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